Così potrebbe apparire, in sintesi, l’esito della vertenza decisa dalla cassazione con ordinanza n. 1785 del 28/2/2021.
Ma in realtà non è proprio esatto.
Nel corso degli ultimi decenni si è passati dal principio secondo cui per andare a vivere separati i coniugi dovrebbero attendere l’ ordinanza presidenziale, che si sarebbe assunta in prima udienza, a quello secondo cui sarebbe sufficiente il deposito del ricorso per separazione per consentire al coniuge di lasciare quella che è stata la residenza familiare, o casa coniugale.
La differenza non è di poco conto, perché nelle separazioni giudiziali tra deposito del ricorso ed udienza presidenziale possono trascorrere anche più di 6 mesi ed a volte è difficile convivere in condizioni di coppia già deteriorate.
A nostro avviso basta il semplice deposito del ricorso per giustificare il trasferimento del luogo di abitazione di uno dei coniugi.
Ma cosa succede quando detto trasferimento avvenga prima dell’inizio della causa di separazione?
Questo è il caso deciso dalla cassazione nel provvedimento che oggi commentiamo.
Dalla lettura integrale del provvedimento emerge che la cassazione non ha stabilito un divieto assoluto di lasciare la casa coniugale, ma semplicemente un’inversione dell’onere della prova.
In altre parole, spetterà al coniuge che lascia la casa coniugale dare prova del fatto che la sua decisione sia dipesa dal comportamento dell’altro coniuge o che sia intervenuto in un periodo in cui la convivenza era già divenuta intollerabile.
Prova non sempre agevole.
Quindi, ove non fornita detta prova, la separazione potrebbe essere addebitata al coniuge che lascia la casa coniugale senza un valido motivo.
Questo perché tra i gli obblighi del matrimonio vi è anche quello di convivenza.