Tecnicamente, dal punto di vista del diritto, le attività sopra descritte rientrano nella nozione di “perquisizioni”.
Le perquisizioni possono essere disposte solo se autorizzate dalla Procura.
Ma cosa succede se, a fronte di un ordine da parte degli accertatori, il contribuente aderisca all’intimazione e permetta l’accesso al contenuto della borsa od all’armadio dove sono conservati i documenti?
A fare chiarezza ci aiuta la sentenza della cassazione a sezioni unite n. 3122 del 2/2/2022.
Vediamo il caso.
Una società impugnava un avviso di accertamento emesso da Agenzia Entrate sulla scorta di elementi raccolti nel corso di una verifica, elementi costituiti dalla documentazione rinvenuta all’interno della valigetta dell’amministratore.
L’amministratore aveva aderito alla richiesta di aprire la valigetta e quindi consentito l’accesso alla documentazione.
La perquisizione personale non era stata autorizzata dalla Procura.
In tal caso può ritenersi legittima l’acquisizione dei documenti? Possono essere utilizzati ai fini dell’accertamento? E poi, doveva l’amministratore essere avvisato della facoltà di opporsi?
Ebbene, la cassazione ha dettato i principi di diritto, che, in sintesi possono essere così riassunti:
– è necessaria l’autorizzazione della Procura solo in caso di apertura coattiva di borse, casseforti o mobili in genere.
– in presenza di consenso del contribuente non è necessaria l’autorizzazione da parte della Procura.
– il consenso del contribuente deve, però, essere libero e non coartato da minaccia od induzione da parte del personale dell’amministrazione fiscale,
– non è necessario che gli accertatori informino il contribuente del diritto di opporsi alla perquisizione; in caso di sua opposizione, l’apertura è consentita solo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.