Il collocamento con tempi paritetici presso ognuno dei due genitori è molto lontano dal costituire la normale prassi seguita dai tribunali italiani in caso di crisi della coppia.
Normalmente accade che il minore venga collocato presso la residenza di uno dei due genitori.
Il genitore collocatario provvederà al suo mantenimento diretto, sostenendo tutte le spese ordinarie di vitto, alloggio e vestiario del figlio.
L’altro genitore riconoscerà al collocatario un assegno mensile di importo costante a titolo di contributo per il mantenimento del minore.
L’obbligo di versare il contributo mensile non cesserà con la maggiore età, ma solo con il raggiungimento della autosufficienza economica del figlio.
Ma spesso il genitore obbligato non si attiva per far cessare l’obbligo quando il figlio raggiunge l’indipendenza economica, anche perché non è raro che l’ingresso del figlio nel mondo del lavoro venga artatamente celato dal genitore che ne beneficia continuando a riscuotere l’assegno.
E quindi il povero genitore, di norma il padre, continua, a volte anche per anni ed anni, a versare.
Ma cosa succede in questi casi?
Può il genitore che, inconsapevolmente, ha continuato a versare, chiedere la restituzione degli importi?
In precedenza la risposta prevalente della giurisprudenza era negativa, ma le cose stanno cambiando.
Si diceva che l’assegno aveva natura alimentare e quindi dette risorse, essendo state consumate per esigenze fondamentali (vitto/alloggio), non potevano essere richieste in restituzione.
Ma sta prevalendo una diversa soluzione, di buon senso ed anche più equa: ce lo conferma la cassazione con la sentenza 3659 del 29/11/2020.
Il genitore collocatario avrebbe dovuto comunicare l’ingresso del figlio nel mondo del lavoro con la conseguente cessazione dell’obbligo di versamento in capo all’ex partner.
Quindi non può appellarsi al principio della non ripetibilità del contributo.
Lo ha riscosso nel momento in cui era consapevole del rischio restitutorio e quindi le somme vanno restituite.