Nel nostro ordinamento è previsto l’istituto della comunione, che si costituisce principalmente con due diverse modalità:
– in virtù di acquisto inter vivos congiunto, come nel caso in cui due (pensiamo ai coniugi) o più persone acquistano un bene mobile od immobile,
– in forza di acquisto per successione, testamentaria o per legge, e questo è il caso indubbiamente più frequente dal punto di vista statistico.
Si pensi a tal proposito al caso in cui una persona venga a mancare lasciando come eredi il coniuge ed i figli.
Bene, tra gli eredi si costituisce una comunione per quote.
Ma, una volta costituitasi la comunione, chi decide se tenere il bene, venderlo o dividerlo?
Secondo quesito: se il bene non è divisibile in natura, chi decide cosa fare?
Diciamo che per legge uno qualsiasi dei proprietari può decidere di sciogliere la comunione.
Il problema di come dividere non si pone nel caso in cui il bene sia divisibile in natura: pensiamo, ad esempio, ad un terreno, che può essere facilmente frazionato in due unità distinte.
In tal caso ognuno dei due proprietari diverrebbe proprietario esclusivo di un lotto.
Stesso discorso nel caso in cui nell’eredità fossero presenti più unità non divisibili, ma sia possibile costituire due diversi lotti, seppur con diverso valore. In tal caso si costituiranno e verranno assegnati due o più lotti con eventuale conguaglio a favore della parte alla quale verrebbe assegnato il lotto di minor valore.
Ma cosa succede nel caso sia in comunione un solo bene indivisibile ed i comproprietari non siano in accordo se tenerlo o venderlo?
In tal caso prevale la volontà di chi vuole vendere e quindi sciogliere la comunione.
L’intera unita verrebbe venduta coattivamente all’asta ed il ricavato distribuito tra i titolari.
Ma, visto e considerato che le vendite all’asta sono penalizzanti, come è possibile bloccare questa iniziativa?
Basterà che il comproprietario della quota che non vuole vendere nel corso della procedura per lo scioglimento della comunione manifesti la sua volontà di acquistare la quota dell’altro proprietario offrendo un corrispettivo non inferiore a quello determinato dall’esperto nominato dal tribunale