Forse non tutti conoscono la differenza tra essere chiamato all’eredità ed essere erede vero e proprio.
Va innanzitutto precisato che non è possibile diventare erede di un’altra persona senza volerlo, e ciò in quanto la legge prescrive, salvo l’eccezione che si dirà, che per diventare erede occorre una manifestazione di volontà, che sia espressa (dichiarazione davanti a notaio) o tacita, per comportamento concludente.
Si ha accettazione tacita quando il chiamato all’eredità pone in atto comportamenti non compatibili con una volontà contraria rispetto a quella di diventare erede: si immagini, ad esempio, il caso in cui il chiamato all’eredità venda o compia atti di amministrazione dei beni ereditari.
Quindi il chiamato all’eredità è la persona designata, per legge o per testamento, a divenire erede e che avrebbe titolo per accettarla.
Perchè occorre una manifestazione della volontà di accettare l’eredità? Semplice: il patrimonio della persona deceduta si compone anche dei suoi debiti e quindi l’erede accettando subentra non solo nella proprietà dei beni, ma anche nei debiti.
Questo è poi il motivo per cui un chiamato all’eredità, anche se parente prossimo del de cuius, non è tenuto a rinunciare all’eredità per evitare di subentrare nei debiti.
Sarà infatti sufficiente che si astenga dall’accettarla, evitando di attuare azioni che potrebbero essere qualificate come comportamenti concludenti
Esiste un’eccezione a questa regola? Si: l’erede che si trova nel possesso dei beni ereditari (si pensi al coniuge convivente) deve predisporre un inventario dei beni ereditari e quindi decidere se accettare o meno l’eredità entro termini ristretti.
Se non rispetta detti termini, e questa è l’eccezione, diventa erede puro e semplice.

