Per la donna quella di scegliersi gli indumenti migliori è un’abilità naturale.
E, come nel senso proprio del termine, a volte anche in ambito giuridico la validità o meno di un accordo dipende dalla forma che gli si dà.
Vediamo il caso.
Dalla narrazione dei fatti riportata nella decisione risulta che, in una coppia sposata, i due coniugi in tempi non sospetti di crisi avevano regolato alcuni aspetti patrimoniali per il caso di separazione o divorzio.
In sostanza, la moglie con il suo lavoro e con un piccolo patrimonio ereditato dai genitori aveva contribuito al menage familiare ed al pagamento del mutuo contratto dal marito per l’acquisto di un immobile solo a lui intestato.
L’accordo prevedeva quindi che  in caso di separazione, il marito si sarebbe impegnato a restituire non solo quanto versato dalla moglie per l’immobile, ma anche la quota significativa di € 85.000 quale contributo al menage familiare.
Insomma, un celato assegno di separazione “una tantum”.
Il vestito indossato però era quello giusto.
E qui veniamo alla forma dell’accordo.
La moglie, evidentemente ben consigliata da un buon avvocato, per aggirare eventuali censure di nullità dei patti matrimoniali, aveva strutturato l’accordo come contratto sottoposto alla condizione sospensiva della crisi coniugale.
Secondo la decisione in commento va riconosciuto come valido in quanto “contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, essendo infatti il fallimento del matrimonio non causa genetica dell’accordo ma mero evento condizionale