I processi, sia civili che penali, si basano su due fasi:
-le valutazioni di fatto,
-l’inquadramento giuridico dei fatti, che vengono ricondotti a determinate tipologie di istituti per dar modo al giudice di applicare le regole astratte previste dalla Legge.
E così prende forma la sentenza.
Prima il fatto che va provato nel processo, e poi il diritto, quindi.
Ma a quale delle parti compete l’onere della prova?
Nell’ambito civile l’onere incombe su chi agisce per chiedere tutela ad una sua pretesa.
In determinati casi l’ordinamento consente a chi agisce di avvalersi di presunzioni legali, che lo dispenseranno dall’onere della prova.
Nell’ambito penale, invece, vige il principio di non colpevolezza dettato dall’art. 27 drlla Costituzione: chi viene accusato di un reato non deve provare la propria innocenza.
Sarà invece l’accusa a dover dimostrare la colpevolezza dell’imputato.
Ma come valutare i fatti?
Anche qui le differenze tra civile e penale non sono di poco conto.
Nell’ambito penale vale il principio del libero convincimento del giudice, che gli concede ampi ambiti nella valutazione delle prove.
Senza dire poi che, come disposto dall’art. 533 cpp l’imputato potrà essere condannato solo se ritenuto responsabile “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Non così nel civile, dove in genere le risultanze probatorie e la gerarchia dei mezzi di prova vincolano il giudice nella sua decisione.
Ma quale è il grado di certezza probatoria che regola il processo civile?
Qui non vige il principio della prova oltre ogni ragionevole dubbio, ma non occorrerà la prova con assoluta certezza di un fatto.
Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, vige il principio del “più probabile che non”, cioè quello della prevalenza relativa della probabilità.