Così dovrebbe essere, almeno questo è quanto prevede l’art. 3 della Costituzione. Tutti però possono comprendere che, sebbene la legge sia uguale per tutti, la sua applicazione è demandata ad un essere umano e quindi non può che essere soggettiva: dipende infatti dalla sensibilità, dalle idee e dalla voglia di approfondimento del singolo magistrato chiamato a decidere il caso.

L’aneddoto di oggi, però, è assai curioso.

Il caso risale a circa 20 anni fa…all’epoca ero un giovane avvocato di 35 anni. Un cliente mi affidò un caso di richiesta danni nei confronti di una banca per la vendita di obbligazioni Parmalat. Chi ha la mia età ricorderà lo scandalo della vendita di obbligazioni (Parnalat, Cirio ed Argentina) a risparmiatori inconsapevoli del rischio emittente. Accettai il caso e predisposi l’atto di citazione con richiesta danni.

Non sto a rappresentare la questione giuridica, fatto sta che all’epoca era appena entrata in vigore una norma di tipo processuale che, a mio avviso, presentava profili di illegittimità costituzionale, perché lesiva del diritto di difesa.

La Banca, ovviamente, costituendosi in giudizio, non esitò ad avvalersi della norma, di fatto cercando di paralizzare le mie possibilità di difesa. Ma arriviamo al punto che mi interessa. Andai in udienza: fuori dalla porta del giudice mi si avvicinò un giovane collega che mi disse: “buongiorno avvocato, il prof. ………..(era il collega che difendeva la Banca) le vuole parlare”. Mi avvicinai al prof. avv. che era circondato da uno stuolo di collaboratori, per la precisione tre. Nel frattempo il giudice chiamò la nostra causa e quindi entrai nella sua stanza senza sapere cosa mai volesse riferirmi il prof.avv. ecc. ecc.

Da una parte mi misi io, dall’altra lo schieramento difensivo della banca. Sollevai quindi la questione di legittimità costituzionale della norma, ma il giudice nulla. Riproposi l’argomento con un esempio….per me la vicenda era lampante, come poteva non essere condivisa?, mi chiedevo mentre percepivo l’atteggiamento del giudice. Il giudice quindi sollevò gli occhi dal fascicolo e mi disse con tono perentorio: “avvocato, a mio avviso la questione da lei posta non è fondata. Porto la causa in decisione”. Bene, uscii un po’ perplesso, non tanto perché temessi una decisione sfavorevole del giudice, ma piuttosto per la non condivisione -da parte del magistrato- di una questione a mio avviso lampante.

Nel merito, infatti, avevo ragione da vendere, tant’è che poi terminai con il collega il discorso iniziato prima dell’udienza: la Banca proponeva una transazione, che accettai in quanto era soddisfacente per il cliente.

Ma il punto non è ancora questo.

Tempo dopo lo studio con il quale collaboravo ricevette un mandato per una vicenda simile: in questo secondo caso si trattava di bond Argentina. Il titolare, che avevo messo al corrente della precedente vicenda, mi disse: “Roberto, segui tu la pratica: la firmiano entrambi”. Stessa trafila, stessa strategia processuale della Banca. La causa venne assegnata al medesimo magistrato che trattò il mio caso dei bond Parmalat. Questa volta andammo in udienza sia io che il titolare dello studio. Quest’ultimo espose le nostre difese ed i motivi per cui ritenevamo che la norma non fosse legittima.

Prima dell’udienza avevo ricordato la mia precedente vicenda e quindi anticipai al collega titolare dello studio che il giudice si era già espresso. Sorprendentemente, però, l’atteggiamento del magistrato fu diverso. “Avvocati, disse il magistrato, a mio avviso la questione sollevata dalla difesa del risparmiatore è fondata. Rimetto gli atti alla Corte Costituzionale”. La Corte, infatti, dopo qualche anno dichiarò la incostituzionalità della norma. Al di là della soddisfazione professionale per il riscontro, seppur tardivo, mi rimase però un fondo di amarezza per il diverso trattamento ricevuto.
Da giovane avvocato quale ero, mi chiesi “ma allora la decisione dipende da chi patrocina la parte? Ma che giustizia è??”.

Qualche settimana dopo la decisione mi trovai in tribunale cercando di far trascorrere i tanti tempi morti tra un processo e l’altro che la nostra professione ci regala. Incontrai un collega che, tra le altre cose, mi chiese: “…lo sai che il giudice xxxxxxxxx (quello che aveva trattato le due cause) viene trasferito in altra sede?”. In genere queste sono questioni che non mi interessano, perché per me un giudice vale l’altro. Però, non so perché, mi diressi verso la stanza del giudice: la porta era aperta e guardai all’interno. Il magistrato, che mi conosceva bene perché aveva trattato e deciso parecchie mie cause, vedendomi avvicinare mi salutò e mi chiese se avevo bisogno di qualcosa. Entrai, non so perché ma lo feci, ed esordii: “ho saputo che verrà trasferito e volevo salutarla ed augurarle buon lavoro presso la nuova sede…” Ma non era quello il motivo della mia visita….volevo togliermi qualche sassolino dalle scarpe. Fu proprio il magistrato ad agevolarmi, introducendo il discorso: “avvocato ha visto che la Corte Costituzionale ha accolto la questione posta da lei con l’avvocato xxxxxxx (intendeva il titolare del mio studio)?”. A quel punto gli sorrisi e gli risposi: “appunto…”.

Lo salutai e me ne andai.