Il tema attiene alla cancellazione dei dati di una persona dalla rete internet e dagli algoritmi dei motori di ricerca. Diritto all’oblio significa – appunto – diritto ad essere dimenticati e, quindi, diritto di una persona di vedersi cancellate dal web notizie che la riguardano relative a fatti di cronaca divenuti nel tempo non più attuali. Si pensi, ad esempio, alle notizie relative a vicende giudiziarie, come le condanne penali.

Ad esempio, una persona che ha subito una condanna penale può aver interesse a che la notizia non permanga sulla rete a distanza di anni, in modo da non risultare perennemente etichettato per l’errore commesso. Gli interessi contrapposti e da bilanciare riguardano da una parte il diritto di cronaca reativo alla pubblicazione della notizia, e dall’ altra il diritto alla riservatezza della persona interessata, in modo che la notizia non permanga in rete a tempo indeterminato.

Con il trascorrere del tempo, infatti, l’interesse al fatto di cronaca si riduce e quindi assume sempre maggiore rilevanza il diritto della persona a non rimanere esposto senza limiti di tempo ad una sua rappresentazione non più attuale. Sul tema è recentemente intervenuta la cassazione (sentenza 9147/2020).

Ma dopo quanto tempo può essere esercitato il “diritto all’oblio”?

Non vi è una regola fissa, e la decisione è rimessa al giudice che decide il caso concreto. Ovviamente dipende dalla personalità coinvolta, ovvero se la persona interessata ricopre, ad esempio, cariche pubbliche o se è una personalità celebre, più lungo sarà il periodo. Dall’esame di diversi casi e della giurisprudenza di merito, si può affermare però che il diritto all’oblio può essere esercitato non prima di due anni e mezzo dall’ultimo aggiornamento della notizia.